Cartagena, cultura, storia e dolce vita sotto il sole dei Caraibi
Case coloniali, balconi e patii fioriti, boutique e ristorantini, chiostri conventuali del Seicento. Ma l’anima di questa metropoli della Colombia è ben più complessa di quella turistica: sì spagnola, coloniale e colorata, ma anche visceralmente india e nera. Una storia multiforme da leggere tra le viuzze e un'atmosfera da assaporare con calma. Sorseggiando un caffè, rigorosamente miscela arabica
Sole, Caraibi e Cartagena. Non importa quante ore di
viaggio abbiate sulle spalle né quale sia il vostro umore prima di
poggiare il piede a terra, sull’acciottolato lucido di Plaza Santa Teresa e immergervi nella sua atmosfera: la città coloniale, perla della Colombia, è pervasa da un’energia contagiosa, a cui è impossibile, e sarebbe sciocco, resistere.
A prima vista Cartagena de Indias può apparire una meta turistica di
puro edonismo, assolata e gaudente nella sua perenne estata caraibica,
e anche troppo da cartolina: merito delle case coloniali, dei balconi e
dei patii fioriti, delle boutique e dei ristorantini d’atmosfera, dei
chiostri conventuali del seicento che la trasformazione in hotel ha
conservato pressoché intatti (a tal proposito, non mancate almeno una
visita, all’Hotel San Agustin, il cui splendido patio
con piscina è impreziosito dalla presenza di un acquedotto del XVII
secolo). Merito anche dello spirito festaiolo dei suoi abitanti, “costeños”, come si definiscono loro, che si sentono anche nell’anima più prossimi ai Caraibi che a Bogotà.
Accusata di essere indifferente al conflitto armato tra il governo e le
Farc che ha dilaniato il Paese dagli Anni 60, Cartagena ha, in effetti,
un passato recente di prosperità e ricchezza: un benessere diffuso e
sedimentato, palpabile passeggiando per il centro storico, Patrimonio Unesco dal 1984, lungo vie acciottolate fiancheggiate dalle caratteristiche architetture colorate, magari sbocconcellando una delle classiche arepas, frittelle di farina di mais e formaggio, una delle glorie culinarie locali.
Ma per vedere oltre la superficie basta iniziare a perdere tempo sulla
tabella di marcia del turista, bighellonare sulle mura possenti che
circondano la città (per questo è detta ciudad amurallada), che
più di una volta l’hanno salvata dalle invasioni dei pirati e che oggi
caratterizzano il profilo magnetico del suo centro storico.
«Vedrai, a Cartagena ogni cosa è diversa. Questa solitudine senza tristezza, questo oceano incessante, questa immensa sensazione di essere arrivato», come raccontava Gabriel Garcia Marquez descrivendo la sua città adottiva, è una sensazione tangibile, che va assaporata con calma. Ci si può spingere fino al caratteristico quartiere Getsemani, che era la parte povera del centro storico, per leggere nei coloratissimi murales, vere opere d’arte open air, la storia del barrio e delle persone che lo abitano, orgogliose della loro identità ibrida messa in discussione da uno sviluppo troppo veloce. Oppure ci si può perdere tra un chiostro, all’ombra di un giardino o in una sala di salsa. Basta seguire l’onda del ballo caraibico e, ancora di più, quello della champeta, ritmatissimo, selvaggio, cento per cento africano, per capire quanto l’anima di Cartagena sia più complessa: sì spagnola, coloniale e fiorita, ma anche visceralmente india e nera, abitata da meticci (discendenti di amerindi e bianchi), mulatti (discendenti di neri e bianchi) e zambos (discendenti di amerindi e neri). Sede del terzo tribunale dell’Inquisizione nel Nuovo Mondo – da vedere, in Plaza de Bolívar – era l’unica città, insieme a Veracruz in Messico, a essere autorizzata al commercio e allo smistamento degli schiavi verso le altre colonie e impiegò i neri nella sua stessa costruzione, nella profanazione delle ricchissime tombe gli indios Zenu come nella costruzione di edifici e fortezze.
«Vedrai, a Cartagena ogni cosa è diversa. Questa solitudine senza tristezza, questo oceano incessante, questa immensa sensazione di essere arrivato», come raccontava Gabriel Garcia Marquez descrivendo la sua città adottiva, è una sensazione tangibile, che va assaporata con calma. Ci si può spingere fino al caratteristico quartiere Getsemani, che era la parte povera del centro storico, per leggere nei coloratissimi murales, vere opere d’arte open air, la storia del barrio e delle persone che lo abitano, orgogliose della loro identità ibrida messa in discussione da uno sviluppo troppo veloce. Oppure ci si può perdere tra un chiostro, all’ombra di un giardino o in una sala di salsa. Basta seguire l’onda del ballo caraibico e, ancora di più, quello della champeta, ritmatissimo, selvaggio, cento per cento africano, per capire quanto l’anima di Cartagena sia più complessa: sì spagnola, coloniale e fiorita, ma anche visceralmente india e nera, abitata da meticci (discendenti di amerindi e bianchi), mulatti (discendenti di neri e bianchi) e zambos (discendenti di amerindi e neri). Sede del terzo tribunale dell’Inquisizione nel Nuovo Mondo – da vedere, in Plaza de Bolívar – era l’unica città, insieme a Veracruz in Messico, a essere autorizzata al commercio e allo smistamento degli schiavi verso le altre colonie e impiegò i neri nella sua stessa costruzione, nella profanazione delle ricchissime tombe gli indios Zenu come nella costruzione di edifici e fortezze.
Tracce di questa storia complessa, multiforme – e spesso infame – sono nei colori sgargianti degli abiti delle palenqueras
(donne discendenti degli schiavi, fanno parte oggi del folklore del
centro). Oppure nei sapori ancestrali che gli chef locali stanno
recuperando dal loro passato: da assaggiare nei ristoranti del centro
storico, come La Cocina di Pepina o La Mulata, da scoprire nel grande, ricchissimo mercato popolare Bazurto. Fatelo accompagnati da una guida dell’agenzia Foodies come Diana Blanquez, la cuoca di etnia Zenu che accompagnò anche Anthony Bourdain nella sua visita, e assaggiate pesce fritto con yuca, riso con granchio, hulo e mango.
Ma c’è un altro gusto colombiano fondamentale per capire l’essenza di questo Paese: quello del caffè, rigorosamente miscela arabica. Viene coltivato da piccoli fazenderos nella regionde dell’Eje (distretto) Cafetero, un mondo rurale fatto di fincas e gauchos
col cappello di cuoio, ma che poi arriva a Cartagena, per essere
degustato dai turisti e dai colombiani facoltosi: una tappa nella
caffetteria del Café San Alberto, marchio leader del
settore, in questo senso, è illuminante. La degustazione è un rituale da
insegnare a chi viene da lontano, perché possa diventare veicolo di un
turismo di livello, uno strumento di rilancio per una terra – la
Colombia intera – al pari di quello che Chianti e Barolo hanno
rappresentato per l’Italia. Si beve caffè, insomma, con il sogno di
trasformarlo in vino, e quindi in oro. Ma, appunto, in ogni sorso di
caffè, sorseggiato nella pace ovattata di una città radiosa e in
splendida forma, c’è un intero Paese, pronto al riscatto.
QUANDO ANDARE IN COLOMBIA
In questa zona della Colombia fa caldo tutto l’anno: dicono che qui esistano solo due temperature, caliente e mas caliente. Ogni luogo comune ha un perché. Il periodo delle piogge va da maggio a novembre ma l’unico mese da evitare per un viaggio è ottobre.COME ARRIVARE IN COLOMBIA
La via più comoda dall’Italia è con Klm, che collega i maggiori aeroporti italiani a Cartagena 3 volte alla settimana, il martedì, giovedì e sabato, con comode coincidenza all’aeroporto di Amsterdam Schiphol (si viaggia con tutti i comfort sul Boeing 787 Dreamliner).La durata del volo è di circa 16-20 ore (1 ora e mezza per Milano-Amsterdam, 14 ore per Amsterdam-Cartagena). Per info non esitate a conttatarci!
DOVE DORMIRE A CARTAGENA
Due indirizzi, entrambi cinque stelle lusso ospitati in palazzi storici che meritano una visita ovunque alloggiate. Fanno parte della catena Lhw (Leading Hotels of the World).La Casa San Agustin è uno splendido palazzo del Seicento che in origine ospitava un convento di monache. Nel cortile interno, a fare da quinta a una piscina, un muro risalente a un acquedotto del XVII secolo. Offre 20 camere e 10 di grande atmosfera, compresa la lussuosa Suite del Virrey, alcune con piscina privata. Gli arredi in stile tradizionale colombiano, gli affreschi d’epoca, i soffitti in legno sono la cornice di un hotel che ha davvero tutti i comfort. Il bar, aperto anche agli esterni, ha un’atmosfera coloniale, e serve ben 17 tipi di gin. Da provare la spa: i trattamenti sono ispirati a quelli tradizionali colombiani in versione extra lusso (un dettaglio, i prodotti per l’igiene personale nelle stanze sono firmati Ortigia).
Il Charleston Santa Teresa è composto da due parti, una coloniale, una repubblicana. Ci sono due ristoranti, uno nel grande cortile centrale, l’altro al sesto piano, accanto alla piscina, con vista sulla città. Una curiosità: la responsabile delle relazioni esterne, Natalia Navarro, è stata Miss Colombia nel 2009.
Se pensate di visitare Cartagena a fine anno, potreste avere l’opportunità di essere tra i primi ospiti dell’Hotel Las Islas, in fase di completamento: oltre 50 bungalow distribuiti su 32 ettari di vegetazione sull’Isla Barù. Si dorme in riva al mare o appollaiati a 20 metri di altezza, in uno scenario che emoziona.
DOVE MANGIARE E DIVERTIRSI A CARTAGENA
Assaggiate la cucina locale reinterpretata dallo chef Herberto Eljach nell’ambiente raffinato del Restaurante Alma (presso Casa San Agustin). Provate la cucina tradizionale in un ambiente curato nel dettaglio, da Candé, in calle Estanco del Tabaco 35, ogni sera, con accompagnamento di musica dal vivo, oppure a La Mulata.Dove bere qualcosa e ballare. Con musica dal vivo al Café Havana, per bere i migliori cocktail della città fatte sosta da Alquimico. Altro indirizzo da segnare in agenda, El Baròn, in Plaza San Pedro Claver.